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Guerra Civile


1.      GUERRA CIVILE 10/01/2011 – Rilevazione della guerra civile e della coesione sociale


Anche in relazione alla Guerra Civile si può dimostrare tutta una serie di modificazioni: il regime applicato non è quello del Diritto Internazionale Classico, modificato a partire dalla nozione stessa di Guerra Civile. Ci si domanda cosa sia la Guerra Civile oggi, e come debba essere qualificata: essa era un conflitto armato non internazionale, qualcosa d’inizialmente pensata estranea all’ambito normativo del Diritto Internazionale finendo però col farne parte pensando comunque i configgenti non entrambi soggetti di diritto (ma solo uno: lo Stato).
Ad oggi vi sono guerre condotte da soggetti che non sono internazionali (non Stati), ma non meno civili da altre. E’ La guerra civile sia condotta da uno dei due soggetti che non è un soggetto di Diritto Internazionale, o condotta da entrambi configgenti non soggetti di Diritto Internazionale, tra movimenti di liberazione contro un governo, etc. La guerra civile diventa elemento di una patologia dei rapporti all’interno dello Stato come rottura della coesione sociale all’interno di quello Stato, e ciò è provato in primo luogo dal fatto che gli interventi dell’ONU nelle guerre civili (non è un elemento trascurabile: negli ultimi 25 anni l’83% degli interventi di guerra erano guerre civili, ed oggi le maggiori situazioni a rischio sono guerre civili) e il prevalente.
Le NU non sono preoccupate solamente dell’intervento della situazione belliche (il cessate il fuoco), ma entrano nella realtà sociale del paese mettendo in atto una strategia complessa per ricostruire la coesione sociale mediante tentativi. I paesi più soggetti sono quelli eredi delle dominazioni coloniali, che non si sentono partecipi di quelle ideologie e di quelle geografie (politiche).
La coesione sociale è quella condizione in cui versa una società all’interno della quale i conflitti sono o risolti o avviati a soluzione mediante meccanismi idonei. Se analizzassimo le strategie d’intervento all’interno di conflitti qualificabili come guerre civili ci accorgeremmo come queste hanno l’obbiettivo di suggerire la coesione sociale all’interno di questi paesi.
La fenomenologia “Guerra Civile” è molto più complessa di quanto il Diritto Internazionale Classico la vede solo come un problema bellico. Nasce sulla base dell’analisi della prassi l’identificazione delle cause delle situazioni di tensione: è stata guidata dalle NU la decolonizzazione con la costruzione di norme internazionale con una particolarissima tipologia di conflitti interni (liberazione nazionale) considerati internazionali in quanto il MLN viene ritenuto soggetto di Diritto Internazionale. Questo convincimento non è così diffuso così come potrebbe apparire (alcuni Stati non riconoscono i MLN come soggetti) e d’altra parte questo movimento entusiasta verso questa riedizione di qualcosa già visto in Europa: autodeterminazione, le nazioni hanno creato gli Stati nazionali.
Porre fine alla stagione del colonialismo non è stato raggiunto del tutto seppur lodevole come progetto, e con certezza la gran parte degli Stati sono usciti dalla colonizzazione. La teoria della Guerra Civile ha sofferto molto in quanto ritenutala come qualcosa di ormai finito. Gli anni ’90 del secolo scorso si sono incaricati di fare giustizia sulla superficialità di questo convincimento: non sono state prodotte società coese, così come avevano non fatto i regimi coloniali, ma hanno creato società sull’orlo della conflittualità sociale importante.
Ci si può accorgere come uno dei fattori importanti di scollamento sociale è rappresentato dalla diversità delle religioni già emerso in luce nel 1912 trascurato durante il ventesimo secolo, riapparso prepotentemente come causa della disgregazione sociale all’inizio del ventunesimo secolo.
Quando si realizza l’indipendenza del Sudan il MLN è filoarabo e musulmano, il sud cristiano animista ricchissimo di petrolio viene consegnato a quelli ritenuti i nemici storici con due guerre (la prima dal 1955 al 1972 e la seconda dal 1983 al 2005); questi sono conflitti che possono essere risolti mandando ognuno dei due Stati per i fatti propri in quanto non può sussistere coesione sociale tra l’etnia musulmana e l’etnia cristiana e animista. Di fatto queste due società non possono coesistere al di sotto di un'unica organizzazione amministrativa. Il Diritto Internazionale si era mostrato singolarmente bloccato per quanto ne concerne la guerra civile al tempo di Cesare (Gennaio del 49 a.C.): “ […] accade che tutto ciò che era stabile (diritto religioso ed umano) diviene in uno stato di confusione […]”.

L’ordine sociale, secondo le sentenze dei nostri tempi, si è rotto. La teoria della Guerra Civile la conosciamo così come ce la presenta la risoluzione dell’Institute de Droit International nel 1900, e come ci vengono presentate dai protocolli successivi. La categorizzazione della Guerra Civile recava in sé i germi della sua dissoluzione: ci si occupa solo del conflitto armato in quanto conflitto armato.
Molto più utile è la prassi che si instaura mediante la ricostruzione adoperata dalle NU in cui il conflitto civile viene assunto nella sua globalità come un problema di Ingegneria sociale che si svolge attraverso gli strumenti del Diritto in quanto strumenti di politica: non è un insieme di principi con lo scopo di cristallizzare assetti dati, possono essere costruite strutture in quanto leve di cambiamento. Oggi sempre di più una categoria particolarissima si è venuta a creare: gli specialisti nei progetti di ricostruzione.
La guerra civile deve essere inserita in questo filone d’analisi considerato uno dei più promettenti della teoria internazionale: la ricostruzione e la costruzione di schemi di governo da offrire a paesi in cui i meccanismi ordinari non riescono a produrre questi equilibri. La guerra civile va studiata sotto l’etichetta di ricostruzione sociale.
“Le nazioni unite funzionano come una clinica degli Stati”. E ciò è quello che accade intorno a noi, infatti l’UE si è messa su questa strada con una missione di collaborazione per risolvere i problemi dei Balcani che sono troppo vicini per disinteressarsene. Vengono lanciati programmi di ricostruzione della coesione sociale e l’elemento cardine di questa ricostruzione è il vedere il fenomeno Guerra Civile come un incidente importante sulla strada di costruzione di coesione sociale (venuta meno).
In Italia c’è una corrente storiografica minoritaria che ritiene la situazione italiana di permanente guerra civile: le guerre civili italiani sono: Il risorgimento, la resistenza e gli anni di piombo. La Guerra Civile non è una cosa che riguarda “gli altri”. Le Nazioni Unite ci anno lasciato una pace costruita artificialmente: il Diritto Internazionale ha scelto la strada della fine della guerra (sia essa civile o internazionale). Gli Stati rinunciano all’uso della forza armata nella risoluzione delle loro controversie. La teoria della guerra non internazionale va partita da qualcosa di diverso: rottura della coesione sociale.
Quindi bisogna analizzare ed esaminare ciò che è stato ereditato dalle guerre civili precedenti, le relazioni ed i progetti di ricostruzione sociale, teoria autonomo legata allo sforzo di pacificazione che le nazioni compiono (e non al divieto d’intervento degli Stati).
La guerra civile nella teoria storica è costruita sulla premessa che ciò che accade all’interno dello Stato non è d’interesse internazionale (affare interno), presentando però due limiti importanti: è un teoria astratta in quanto nella prassi il divieto d’ingerenza negli affari interni non si rispettò mai nella Guerra Civile. Da quando il Diritto Internazionale ha vietato l’utilizzo della forza armata, ha reso inutile la costruzione della Guerra Civile, ma il problema sociale è abituale ed inevitabile. Quindi si studia come strumento per porre in essere assetti stabili e coesi all’interno degli Stati.


2.      GUERRA CIVILE 11/01/2011 – Dritto Internazionale applicabile alla Guerra Civile e Tribunali penali internazionali


Il fenomeno degli scontri armati all’interno di uno Stato è stato dal Diritto Internazionale categorizzato come fenomeno di natura bellica e assimilato mutatis mutandis alla guerra vera  e propria tra due Stati. Oggi il Diritto Bellico ha una importanza residuale e si regge sulla condivisione di taluni principi quale quello del divieto del ricorso alla forza armata nei rapporti fra gli Stati. L’ONU sempre di più prende ad occuparsi di situazioni di conflitti interni che ritiene debbano essere oggetto della sua azione per pacificarli e successivamente eliminare le cause di tensione sociale che hanno portato a questi conflitti.
Ci si preoccupa non solo della pacificazione ma di tutta una serie di strategie successive di ricostruzione del tessuto sociale disgregato da tensione. Considerato che l’approccio tradizionale presenta dei limiti (trattare la guerra civile come una guerra applicando depotenziate le norme della guerra ha prodotto un problema più importante degli altri: le convenzioni della croce rossa non riconoscono alla croce rossa stessa di operare una certa soglia di conflittualità: affinché ci sia una guerra civile risultando applicabili i trattati di diritto umanitario è necessaria una certa soglia di conflittualità).
Il Diritto Internazionale non si è occupato di questi problemi fino alla nascita delle missioni di pacificazione. Ci si domanda se sia cambiato qualcosa di fronte al diritto Internazionale con una organizzazione secondo parametri differenti: potrebbero essere una differente categorizzazione del fenomeno della disgregazione sociale non attraverso gli strumenti del diritto bellico ma attraverso l’esame del livello di garanzia dei diritti umani, oppure il conflitto sociale sia categorizzabile. I concetti non sono qualcosa di innaturale: con certezza è vera l’idea secondo la quale la categorizzazione delle visioni sociali condiziona il nostro modo di pensarli.
Lo stesso fenomeno sociale può essere visto in una determinata ottica in determinato ordinamento, ed in altri ordinamenti viene visto sotto un'altra ottica: le norme applicabili possono essere quindi diverse allo stesso fenomeno sociale. Bisogna domandarsi se le categorie utilizzate per inquadrare i fenomeni sono corrette. La guerra civile come guerra civile non può esistere se non esiste lo Stato. L’esistenza dell’idea di guerra ci permette di comprendere la guerra civile tuttavia non è assolutamente detto che la conflittualità all’interno di uno Stato debba considerarsi come fenomeno bellico.
E’ possibile categorizzare la tensione sociale che rappresentano l’abbandono del terreno costituzionalmente fissato quando i conflitti all’interno dello Stato possano interessare il Diritto Internazionale. I cc.dd. affari interni dello Stato non sono oggetto di studio del Diritto Internazionale: se uno Stato funziona come normalmente funziona uno Stato il livello di conflittualità sociale si incanala nelle direzione determinate dallo Stato stesso. Un fondamento valido ce l’ha anche nella situazione attuale: quando le brigate rosse rapirono Aldo Moro e lo detenevano in ostaggio sottoponendolo a interrogatori in nome del popolo armato, si fece la proposta d’intervento della croce rossa. Le autorità dello Stato italiano non fecero questa richiesta in quanto si sarebbe riconosciuto in modo implicito 1) incapacità di risolvere la questione e quindi malfunzionamento dello Stato; 2) riconoscimento di soggettività internazionale alle Brigate Rosse.
Ci sono convenzioni di Diritto Bellico alla fine dell’800, poi nel 1907, nel 1919, nel 1949, nel 1957, e i trattati dei diritti umani sono però molto più recenti, non prima della seconda metà del secolo scorso, quando si apre un movimento di stipulazione di trattati. Questa idea del conflitto armato non internazionale non sia sufficiente e ci si stia muovendo su un piano differente che abbraccia più il piano sociale. Vi è un problema prima sociale che bellico. La nozione di Guerra Civile ed il correlativo principio di non intervento nella guerra civile non ha mai funzionato nella pratica.
L’Istitute de Droit International è un’associazione molto prestigiosa (privata) di cui fanno parte i più eminenti giuristi di Diritto Internazionale del mondo. Nel 1900 questa associazione assume una risoluzione relativa a diritti ed obblighi di uno Stato nei confronti di un altro Stato in condizione di guerra civile. Lo stesso approccio manterrà settantacinque anni dopo approvando una risoluzione che riporta un obbligo di non intervento generalizzato vietandolo accanto degli insorti e del governo in carica. Lo scopo è la protezione della sovranità: il ragionamento è tanto ordinato quanto astratto: prende pezzi della prassi e cerca di ricostruirli secondo una logica astratta.
Gli altri Stati sono in condizione di non intervento, non possono prendere posizione; ma può darsi che il livello di conflittualità aumenti sino al punto che gli insorti controllino una parte di territorio; poiché sussiste l’idea che lo Stato c’è in presenza di controllo del territorio, se su una parte del territorio il controllo non è dello Stato ma degli insorti allora lo Stato non potrà vantare o esercitare sovranità e dunque si apre una fase definita fase internazionale della guerra civile alla quale si applicheranno le norme del diritto bellico che fino a quest’epoca riguardavano solo il conflitto armato solo fra Stati. Questo tipo di ragionamento nella sua prima risoluzione è analizzabile solo se sullo sfondo si proietta l’immagine del diritto bellico come era all’epoca: le guerre propriamente dette pertanto la nozione di guerra civile non è tecnica del diritto internazionale. Questo schema prevede anche che si possono adottare degli atti che ufficialmente costituiscano il diritto internazionale: atti di riconoscimento.
Il riconoscimento è un atto unilaterale attraverso uno Stato afferma esistente una constatazione di fatto offrendone una constatazione giuridica, La prasi internazionale conosce per esempio lo stato di belligeranza. Il riconoscimento può essere attribuito da Stati estranei al conflitto, ma anche da parte dello stesso Stato contro il quale il movimento lotta (ma i casi sono veramente pochi). In questo periodo non ha nessuno interesse a dichiarare applicabile il Diritto Internazionale Umanitario in quanto è più comodo per lui applicare le proprie leggi (anche violandole). Queste soluzioni son destinate a cambiare la situazione sociale: ci sono leggi quali i diritti dell’uomo che limitano l’operato del governo in caso di belligeranza o di guerra civile. Il riconoscimento di belligeranza può essere sostituito da un riconoscimento d’insurrezione che avrebbe dovuto essere (considerandolo qualcosa di minore) il riconoscimento che esiste un turbamento della pace sociale (senza che però ad essa debba risultare applicabile il Diritto Internazionale Umanitario).
In realtà è accaduto che gli Stati o si sono attenuti ad una politica d’intervento ovvero hanno adottato un atteggiamento modellato sulla neutralità non intervenendo a fianco di nessun non prestando nemmeno soccorso, e ciò avviene perché il fatto bellico è talmente dirompente che nemmeno le cancellerie diplomatiche spesso colgono la differenza tra fase interna ed internazionale perché le guerre internazionali sono un inviluppo delle fasi internazionali ed interne. Ad una attenta considerazione la qualificazione della contesa interna nuoce all’istituzione di una disciplina internazionale efficace ed applicabile.
Con risoluzione viene riconosciuto che vi dev’essere un rispetto del divieto dell’uso della forza anche quando quello non è un conflitto interno. La Guerra civile come categoria in sintesi non è mai esistita, poiché in realtà confusa con altro: questioni interne o questioni di portata più generale. Il conflitto di liberazione nazionale non è una guerra civile in quanto ad essa si applica il primo protocollo (quello ai conflitti armati internazionali).
Per quanto riguarda il Diritto Umanitario di Guerra si deve considerare che l’Art.3 delle convenzioni di Ginevra del 1949 dice che le convenzioni si applicano alle guerre internazionali e gli Stati parti devono applicare queste norme anche ai conflitti armati non internazionali, quindi l’art 3 è una convenzione in miniatura: anche per i conflitti non internazionali dev’essere utilizzato il diritto umanitario; ma questa decisione non funzionò e in tempo di revisione si organizzano le cose in modo da prevedere il protocollo secondo per il conflitto armato non internazionale.
Il diritto bellico è l’insieme delle norme di diritto internazionale sulla condotta da adottare in caso di guerra diviso in Diritto dell’Aja e Diritto di Ginevra. Il Diritto dell’Aja ci dice quale mezzi e strumenti la guerra può utilizzare o meno; il Diritto di Ginevra si origina dalla sensibilità per le sorti dei feriti, delle vittime della guerra (chiamato Diritto Umanitario). La Croce Rossa si chiama oggi Croce e Mezzaluna Rossa: il simbolo fu pensato per contrassegnare quegli atti non indicati come operazioni belliche. La Croce Rossa nasce come simbolo della società che attraverso l’emanazione di regole e con quel simbolo intende preservare certi obiettivi dalla violenza bellica.
Oggi nei trattati di Ginevra ci viene detto che una determinata arma non può essere utilizzata in quanto comporta sofferenze eccessive, mira soprattutto a curare e sistemare i danni, prevenendo le sofferenze ingiustificate, livello di violenza non comune.
Per l’applicazione del Diritto Umanitario è necessario che ci sia una dimostrazione di danno nei confronti della popolazione: non si applica ai livelli di conflittualità in cui non c’è sofferenza. La guerra civile può essere considerato un conflitto armato all’interno di uno Stato (tra il governo e qualcosa che governo non è) che produce almeno cinquecento morti l’anno. Secondo gli studiosi USA la guerra civile attiva è quella che produce venticinque morti al mese.
I tribunali penali internazionali son il punto più elevato raggiunto dal Diritto Internazionale fin’ora nell’ottica di affrontare la conflittualità sociale mediante strumenti internazionali. L’idea che si dovesse istituire una giurisdizione penale internazionale non è nuova: Sottile pensò un tribunale penale internazionale agli inizi del ‘900. Il Tribunale speciale per l’ex Jugoslavia nasce dell’esigenza che qualcosa si dovesse fare: Tokyo e Norimberga sono stati istituiti dalle potenze vincitrici e quindi hanno sempre giudicato i vinti e sono costruiti con una patente di internazionalità ma non si sono divincolati dalla “nazionalità” (USA).
Ci sono Tribunali internazionali che si costituiscono tutt’oggi ed esistono come mezzo di mantenimento della pace. Quando uno Stato appare non particolarmente motivato per la condanna di questi crimini, si costituirà un tribunale ad hoc. I Tribunali hanno applicato il diritto umanitario di guerra che non sempre i tribunali interni riconoscono ed/od applicano, contribuendo anche al suo sviluppo, riuscendo a funzionare bene. Il conflitto armato è unitario indipendentemente dalle parti che lo conducono: o ci sono le violenze gravi della guerra e quindi non c’è bisogno di normarla in modo differente da quella internazionale, o guerra non è.
Certe cose che sono vietate agli Stati devono essere vietate anche agli insorti o ai movimenti di liberazione nazionale.


3.      GUERRA CIVILE 12/01/2011 – Ricostruzione del tessuto sociale da parte delle NU


L’uso della forza armata sebbene vietato in via di fatto è ancora utilizzato e quindi non c’è giustificazione che ponga differenziazione tra guerra interna e guerra internazionale: si tratta sempre di guerra. La vera problematica è un’altra: il conflitto sociale è qualcosa di molto più ampio che il concetto gi guerra civile può riassumere e questa differenza si vede più nettamente di una normazione più incisiva, e ciò è avvenuto all’interno delle NU.
Le NU non sono essenzialmente un meccanismo di sicurezza collettiva, sono anche  questo, ma non solo in quanto da una idea pregnante di pace perpetua più ancora del passato nella SN o nei filosofi e politici: diventa sempre più una struttura lato sensu costituzionale mondiale. C’è un passaggi nei documenti preparatori che allude al fatto che l’eliminazione della guerra è presente dove venga rilevata l’ingiustizia sociale. Al di là dell’aspetto romantico del modo in cui questo passaggio è stato interpretato (la guerra nasce nel cuore degli uomini, etc.) c’è da segnalare che viene capito che il modo d’organizzazione interno di uno Stato può influenzare sul Diritto Internazionale e ciò che ha fatto l’ONU è basato proprio su questo convincimento.
La Carta delle Nazione Unite non ha un valore giuridico vincolante per sé ma ha dato una fortissima influenza sui patti sui diritti umani ed in ambiti regionali più ristretti, come in Europa nel 1950 (subito). Il modo in cui uno Stato sia organizzato che influenza il Diritto Internazionale è un idea che fin da subito si manifesta. L’attenzione alle problematiche di conflitto sociale aumenta nelle discussione delle Nazioni Unite: l’Assemblea Generale è attratta dalla problematica dell’autodeterminazione dei popoli e resta in ombra l’assetto interno degli Stati perché è più urgente fondare il principio di nazionalità le nuove realtà che vanno emergendo.
L’idea che ci debba essere un interesse di come gli Stati sono organizzati al loro interno rimanda alla logica dei mandati, il sistema che aveva caratterizzato la SN in cui alcuni Stati (ex madrepatrie o ancora madrepatrie) si vedevano affidate le responsabilità di quei territori con mandato di accompagnarli verso l’indipendenza e l’autonomia con la differenzazione tra più portate e meno portate all’indipendenza.
Il sistema dell’autodeterminazione scardina tutti i discorsi che l’assetto che questi Stati avrebbero dovuto darsi al loro interno, e non è casuale (anche se potrebbe essere spiegato con tematiche politiche) che vengano alla luce queste tematiche in un momento in cui sussiste una evoluzione in tal senso. Sul principio di democrazia è nata una questione profondamente discussa lasciandosi guidare da criteri non sempre universalistici ed uniformi, in quanto la Costituzione non democratica di un paese amico veniva considerata più problematica di uno non amico.
Per una certa stagione le NU si sono assunte questo compito che fin dall’inizio era stato loro affidato dalla Carta istitutiva: realizzare condizioni all’interno egli Stati agibilità democratica e ridotta conflittualità sociale. Dagli anni ’80 nelle NU ci sarà un ufficio di consultazioni elettorali con l’idea che gli Stati debbano organizzare elezioni che siano giuste e libere, e le NU offrono la loro consulenza con una copertura politica della AG con una risoluzione che invita a realizzare ad intervalli regolari consultazioni elettorali giuste e libere.
Queste risoluzione è accompagnata da un’altra che dice che la sua attuazione deve rispettare la sovranità degli Stati. Le consultazioni elettorali sono oggi ritenute una questione d’interesse internazionale a richiesta degli Stati stessi: commissioni internazionali si insediano per la osservazione delle consultazioni in modo da attestare la correttezza. Si possono quindi desumere criteri guida dell’organizzazione delle elezioni visionando la vita democratica di uno Stato.
Accanto a queste strategie che le NU pongono in essere vanno studiate e messe in evidenza alcune delle più recenti operazioni di mantenimento della pace multidimensionali, con riferimento al fatto che più di un ufficio delle NU si disloca sul territorio di questi Stati per promuovere e favorire un progetto di ricostruzione sociale. Già negli anni ’90 l’Agenda per la Pace del segretario generale delle NU aveva registrato l’insufficienza delle azioni che si fermassero al momento della cessazione delle operazioni belliche con l’esigenza di sostenere gli sforzi del popolo verso la ricostruzione di un tessuto sociale non conflittuale.
Molte di queste operazioni sono state disposte in esito a conflitti armati non internazionali. Queste operazioni multidimensionali sono oggi la frontiera più avanzata dello sforzo delle NU della missione nel mondo di pacificazione. Il manuale del 2003 sulle operazioni multidimensionali emerge un progetto di amministrazione internazionale che dovrebbe condurre verso la pienezza dell’indipendenza. Ralph Wilde dice che stiamo parlando mandati non affidati non affidati a potenze coloniali ma affidati alla struttura stessa delle NU con la medesima logica: è come se qualcuno dicesse “forse non ci eravamo sbagliati nel ricorrere all’assistenza per raggiungere l’indipendenza”.
Quello che fanno i funzionari è sostanzialmente un progetto di ricostruzione, scrivono le costituzioni, adottano le leggi col potere del parlamento, e poi progressivamente queste operazioni creano un ceto politico endogeno che dovrebbe intestarsi il progetto condiviso con le NU. Timorest si è concluso con la consegna da parte del Segretario Generale alle autorità democraticamente elette della pienezza dei poteri. Non solo le NU si indirizzano verso questa strategia ma anche altri membri attivi nella comunità internazionale: UE. L’UE con le sue missioni e col suo servizio d’amministrazione ha dato il suo contributo nella ricostruzione del tessuto sociale, ma funzionano sino ad un certo punto (v. Serbia e Bosnia).
 Chi legge i documenti della Coalition Provigional Auctority vede come le missioni non erano mandate dall’ONU ma ha cercato di restaurare un clima di reciproca fiducia costruendo un assetto socialmente coeso.
Noi occidentali siamo convinti a livello di politiche governative che il nostro sistema è oggettivamente superiore a quello degli altri, tanto siamo convinti che la democrazia sia naturalmente il miglior sistema di governo, quindi nella ricostruzione di uno Stato si impone questo modello: quando si instaura un regime di amministrazione internazionale il primo obbiettivo è la lotta alle emergenze, poi seguirà la ricostruzione delle istituzioni. E’ abbastanza diffuso che queste strategie funzionano fino a quando c’è da fronteggiare queste problematiche. Molte volte il problema è tale che risulta fondamentalmente impossibili mediare questo tipo di conflitto (v. Sudan), la soluzione migliore è accompagnare le comunità nell’indipendenza reciproca, ma altrove si cerca di mediare questo conflitto sociale mediante altri mezzi che non sempre sono efficaci.
Molto spesso le comunità sono organizzate in strutture tribali giacché in lotta fra di loro, e quindi la speranza di creare una democrazia risulta un fallimento: l’idea non sempre attecchisce. Non basta mandare a votare la quasi totalità di questa popolazione quando la quasi totalità di questa popolazione è ignorante. Perché emerga l’idea stessa di democrazia è necessario un cammino separato e purtroppo lento. Il secondo problema è quello di andare ad individuare un partenariato locale. Si dice: così come tra il ‘600 ed il ‘700 uno Stato non poteva ingerirsi negli affari interni di un altro, così oggi non ci si può ingerire negli affari politici degli Stati, ma è estremamente difficile questo discorso in quanto se quei funzionari sono lì è perché la gente di quel paese non è capace di creare un sistema tale da dirsi “sovrano”.
Lo si risolve cercando di fare quanto più estensivamente le convocazioni chiamando in raccolta tutte le posizioni rappresentate creando organi che favorisca il confronto con i mezzi democratici. Un terzo problema è formato dal sistema istituzionale: non si può esportare un modello istituzionale da un altro Stato, ma molto spesso questi modelli circolano. Occorre spesso scrivere le Costituzioni di questi paesi di cui si debba ricostruire il sistema. E’ sciocco prendere l’assetto normativo dell’occupatio bellica e giudicare il comportamento della Coalition Provigional Auctority debba restituire al regime democratico il sistema della nazione.
Un’ultima questione è la tempistica ed il finanziamento di queste operazioni che non possono durare in eterno, non solo perché non possono mancare le condizioni di mancato autogoverno, ma anche perché queste operazioni sono estremamente costose, e non sempre hanno ritorni politici per chi ci va: le organizzazioni ci provano sempre ma si scontrano con difficoltà finanziare che fanno divenire la questione complessa. L’obbiettivo finale di questo tipo d’interventi è riconducibile alla restaurazione della coesione sociale a consegnare al popolo istituzioni  e leggi che dovrebbero permettere la salvaguardia in futuro della pace interna, ed il nostro ragionamento seppur troppo articolato ha raggiunto un punto fermo. E’ vero che l’obbiettivo della eliminazione del conflitto sociale è un elemento della strategia delle NU, ma non abbiamo risolto il nostro problema: capire se il Diritto Internazionale nel suo complesso contiene norme che affrontano la problematica del conflitto sociale all’interno degli Stati.
Esistono sempre più le norme sui diritti umani: niente è più lontano della verità l’idea secondo la quale i diritti umani sarebbero universali: non è così. Sono il risultato di un precipitato modello di società in cui si inverano principi di derivazione occidentale. Gli Stati di ordinamento coranico-sciaraitico non accettano una piena parificazione dei diritti, ma una convenzione sui diritti dell’uomo non può dire altro, il che però è stato accettato con riserva da parte di quei Stati. E’ vero quindi che esistono di queste norme ma non sono generali perché vincolano solo gli Stati che le hanno accettate senza riserve. Il sistema che è stato esitato dalla Convenzione d Vienna del ’69 prevede che la riserva escludente accettata o rifiutata porta allo stesso risultato: nessuna vigenza del contenuto del testo coperto da riserva. E’ vero che i Diritto umani sono contemplati da trattati con uno sforzo di alfabetizzazione ai diritti umani.
Esiste un insieme di norme internazionali che può essere affrontato per la ricostruzione della coesione sociale fra gli Stati, ed uno di questi può essere quello relativo ai diritto umani. La gran parte dei trattati sui diritti umani è stata stipulata all’interno delle NU. Queste norme però non sono norme generali, anche se vi sono persone che ritengono che ci sarebbero alcuni principi generali (elementari principi d’umanità) che apparterebbero al Diritto Internazionale Generale che i applicherebbero anche qualora lo Stato in questione non abbia ratificato il trattato internazionale, ma la tipizzazione dell’elenco di questi principi non ha portato a nessun risultato.
Le NU hanno il compito di occuparsi di tutte quelle situazioni che il Consiglio di Sicurezza ritiene essere rischiose per la pace fra le nazioni, ma trarre da questo argomento una tesi che veda l’esistenza di una norma non scritta che imponga agli Stati di non comportarsi in un determinato modo è una pretesa giusnaturalistica, non fa riferimento ad una prassi coerente d’applicazione generalizzata.
Alcuni di questi trattati disciplinano gli obblighi dello Stato anche in caso di rottura del tessuto sociale degli Stati.


4.      GUERRA CIVILE 13/01/2011 – Conflitto sociale


L’approccio che fino a questo momento è stato possibile non è ormai l’unico: questi approcci hanno portato ad una dissoluzione della considerazione di guerra civile, e con certezza ormai l’uso della forza armata è ormai considerato vietato. Non si deve costruire un corpus a sé di norme per la guerra civile. La normazione in tema di guerra civile ha sviluppato un’attitudine a considerare il conflitto sociale nella dimensione più ampia e vasta: viene osservato sotto la violazione dei diritti umani.
Le missioni multidimensionali sono oggetto di autentiche regolazioni normative, vi è quindi una normazione internazionale in ambito di violazioni dei diritti dell’uomo. Essa consiste nei sette grandi trattati amministrati da un comitato che opera prendendo in considerazione problematiche di ordine generale. Esiste poi una commissione per i diritti umani recentemente codificata, ed il Consiglio per i Diritti Umani sottopone tutti gli Stati del mondo ad un esame completo sul rispetto dei diritti umani.
Attraverso l’operare di tutti questi strumenti, a prezzo di non poche sovrapposizioni, si riesce a intercettare buona parte delle condizioni ad un quadro normativo pervasivo tale da far riconoscere un corpus che aggredisce il fenomeno del conflitto sociale. Larga parte di questi conflitti esistenti dipendono dalla discriminazione influenzata da movimenti politici ed ideologici. Tutti questi trattati colpiscono la discriminazione nel godimento dei diritti e sono volti a combattere la discriminazione della donna e razziale. Un primo fattore di conflitti sociali è intercettato attraverso questa normativa che riguarda comportamenti discriminatori per certi gruppi. Se c’è una situazione di generica discriminazione per il godimento di certi diritti questa può essere disciplinata dai trattati a cui stiamo alludendo, e ciò è un fattore che incide sul conflitto sociale.
La normativa sui diritti umani può funzionare per la repressione dei conflitti sociali è manifestata dalle norme dei casi d’emergenza che prevedono quale che debba essere il comportamento che dev’essere adottato. Anche nelle situazioni d’emergenza non è possibile sospendere del tutto il rispetto di queste convenzioni, ed alcuni diritti restano come dei diritti fondamentali ineludibili. Ci si è lungamente interrogati sulle situazioni in cui la convenzione non può essere adottata. “Aree nelle quali la convenzione sui diritti umani non può essere utilizzata” è una risoluzione dell’organo parlamentare del consiglio d’Europa ribadisce che per quanto possa essere acceso il conflitto sociale la convenzione non cessa di applicarsi.
La convenzione all’art.1 prevede che i diritti in essa contemplati saranno garantiti a tutte le persone sottoposte alla giurisdizione dello Stato parte. Quando venne stipulata la convenzione si voleva dire che essa si applicava ai cittadini dello Stato parte ma anche agli stranieri, e l’attenzione di chi negoziò il testo era posta su “tutti” coloro fossero cittadini. Non si fece conto con l’interpretazione di “sotto la giurisdizione”: singifica forse sul territorio? E se lo Stato si trova ad operare su un altro Stato parte della convenzione, o su uno Stato non parte?
La normativa che rende applicabile la convenzione nel Regno Unito passa sotto la competenza territoriale delle Corti Inglesi. La convenzione si applica anche in situazioni di guerra civile e qui si apre una problematica complessa. Ci sono degli Stati, anche studiosi, che ritengono che la normativa sul diritto umanitario di guerra è incompatibile con l’applicazione della materia sui diritti umani. La prima sarebbe da ritenersi speciale rispetto alla seconda e la sua applicazione precluderebbe l’applicazione della normativa della seconda. La condizione di guerra guerreggiata anche quando essa sia “civile” preclude l’applicazione della normativa in materia di diritti umani? La guerra fa cessare l’applicazione dei diritti umani? Secondo l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa no.
La giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo ritiene che la situazione d’emergenza che minaccia la nazione copre tutte le situazioni nelle quali in cui lo Stato parte ritiene di trovarsi in questa situazione e lo Stato abbia ritenuto di trovarsi in stato di emergenza pubblica così come è previsto dall’art. 15. Quando c’è una situazione in cui lo Stato pensa di affrontare attraverso gli strumenti ordinari l’applicazione dei diritti la convenzione si applica nella sua interezza tuttavia la Giurisprudenza riconosce allo Stato un importante margine d’apprezzamento, che è uno spazio di discrezionalità che gli organi di controllo riconoscono allo Stato che si trovi a fronteggiare una situazione di particolare delicatezza. La dottrina è composita ed all’interno si situano problematiche differenti.
La ragione ch determina questo riconoscimento può dipendere dalla delicatezza della situazione d’emergenza o delle valutazioni d’equilibrio tra la rilevanza collettiva, etc. Questo rappresenta una caratteristica peculiare di come venga affrontata la problematica del conflitto sociale. Tutta la convenzione attiene a problemi di conflitti sociali con interessi di gruppi contrapposti. A livello di conflittualità ci si muove anche quando si deve stabilire in cosa consista dove si situa il punto d’equilibrio tra l’interesse individuale e pubblico si deve situare un conflitto sociale.
La Corte interamericana dei Diritti dell’Uomo ha sviluppato una complessa giurisprudenza sulla conflittualità sociale e seguiti di conflitto: in molti paesi dell’America latina si sono pronunciate molte esperienze di guerre sociali, regimi dittatoriali, ed i governi che sono seguiti hanno sentito l’esigenza di promuovere campagne di restituzione alla memoria collettiva di questi periodi difficili fronteggiando una serie di provvedimenti di amnistia che, per fortune politiche o oppressioni, si rendevano impunibili i crimini che erano stati commessi ai membri dell’esercito o della polizia.
Si è fatto ricorso alla conflittualità sociale utilizzando una nozione strana di guerra civile che viene evocata non però in senso tecnico perché la guerra civile in senso tecnico si ha tutte le volte in cui una parte della popolazione in armi insorge contro il governo,. Questi fenomeni erano asimmetrici: c’era una forte opposizione popolare, ma non sempre si era manifestata in forme dirette di iniziative belliche, era stata la repressione successiva che era armata.
La giurisprudenza nazionale di questi paesi ha utilizzato la nozione di guerra civile per descrivere qualcosa di molto simile a quando noi ci riferiamo al conflitto sociale. Nel quadro di una politica di recupero di questi eventi con la ricostruzione della coesione sociale si dice che nella memoria di quel popolo resta una frattura perché qualcuno ha deciso la fine. Lo scopo è recuperare queste memorie dichiarando queste leggi di amnistia nulle. Questi reati erano impunibili, ed ora invece lo sono. Siamo di fronte ad un insieme di popoli che cerca di ricostruire la coesione sociale anche attraverso questi elementi. Il conflitto sociale attraverso questa forma virulenti di guerra civile nelle forme anche meno cruente è oggetto di normazione dei diritti umani si quando raggiunga manifestazioni parossistiche sia discriminatorie.
Ciò non toglie che essa possa rappresentare dei limiti: il proposito dal quale muoveva l’analisi accennata è che il conflitto sociale del diritto tradizionale potesse dirsi normato dalla normativa internazionale quale che fosse secondo una prospettiva più ampia e comprensiva: con certezza pezzi della normativa internazionali si occupano della conflittualità sociale, ma è necessario capirne le quantità.
C’è un’importante giurisprudenza che riconosce i diritti umani anche al popolo Rom. Ci sono ipotesi di conflitto sociale intercettabili attraverso questa normativa: possiamo dire che “conflitto sociale” indica una problematica assunta come tale come oggetto di disciplina? E’ una categoria del Diritto Internazionale?
Il diritto umanitario di guerra riconosce il diritto armato non internazionale come guerra civile, ma conflitto sociale è stato riconosciuto come categoria al pari di guerra civile? Non si sa: non è facile rispondere  a questa domanda in quanto abbiamo solo una categorizzazione insufficiente. Il Diritto Internazionale ha elaborato una sua nozione tecnico giuridica di conflitto sociale? Non ci sono tutti quegli elementi per creare una categoria ben definita: è altresì vero però che in tutti questi casi il conflitto sociale non viene mai individuato come tale.
La riflessione in materia è ancora ad uno stato embrionale: la normativa sui diritti umani è tra gli individui ed il potere all’interno degli Stati. La prassi che è stata richiamata sulle amministrazioni territoriali dalle organizzazioni internazionali prova troppo in quanto ci si trova su situazioni eccezionali. L’amministrazione viene istituita in caso che lo Stato non è riuscito a mediare. Solo lo Stato può apprezzare cosa determini un’emergenza, o cosa non la determini, quindi sta al governo riconoscere il conflitto sociale. Ci si trova di fronte ad una difficoltà di riconoscere in questi piccoli accenni una vera e propria categoria. Questo percorso di ricerca si è interrogato se il Diritto Internazionale abbia la capacità di creare delle sue categorie del diritto autonome da quelle presenti all’interno degli Stati.
Tutto quello che viene insegnato nei manuali di Diritto Internazionale è eccessivamente datato in quanto oggi sono solo un pezzo della costruzione giuridica internazionale, e se non ci si riesce ad evidenziare una categoria autonoma, vi è debolezza nella teorizzazione. Anche nell’elaborazione di categorie tradizionali c’è uno spazio di autonomia per gli Stati.